Contributi per capire la Shoah

copertina shoah

Centro Studi Costituzione e Democrazia –

La memoria della Memoria

 

Perché parliamo ancora

di Shoah

Interventi del 27 gennaio 2020

presso Liceo Issel di Finale Ligure

Perché continuiamo a parlare di SHOAH e non di altri crimini?

27 gennaio 1945: i soldati russi (allora dell’Unione Sovietica) liberano il campo di sterminio di Auschwitz. 27 gennaio è diventata la data per la commemorazione della Shoah, terrmine che gli ebrei hanno chiesto (giustamente) di sostituire a quello usato prima, Olocausto, perché “Olocausto” indica un’offerta sacrificale a una divinità, mentre “Shoah” significa brutalmente distruzione.

La Shoah continua ad essere negata da pochi o tanti. C’è un negazionismo rozzo: di chi afferma che i campi di sterminio non sono mai esistiti; o di chi dice che i morti nei campi erano dovuti alle naturali conseguenze di una vita non confortevole e non a una programmazione da parte dei nazisti; o di chi non arriva a negare lo sterminio ma ne riduce di molto le cifre.

A questo negazionismo rozzo rispondono le riprese fotografiche e cinematografiche che i soldati russi, americani, inglesi che entrarono nei campi di sterminio vollero fare perché quello che trovarono risultava incredibile ai loro occhi e sarebbe stato ancora più incredibile a quelli che sarebbero nati dopo. Ma ci sono anche le documentazioni dei nazisti stessi, che, convinti e orgogliosi di stare costruendo un Ordine Nuovo, registravano le tappe di questa costruzione e, quindi, gli arrivi dei deportati nei campi, il prezzo al quale venivano affittati alle industrie tedesche, le morti, i costi della gestione dei campi ecc.: queste domumentazioni i nazisti in fuga mentre perdevano la guerra cercarono di distruggerle, ma non fecero in tempo a eliminarle completamente.

C’è, però, un negazionismo più sofisticato, quello che pone la domanda: perché continuiamo a parlare sempre della Shoah e non diciamo niente degli altri crimini di massa? Ad esempio dei crimini dei comunisti?

La risposta è che, se vogliamo risvegliare la nostra emotività umana di fronte alla violenza e allo sterminio, per indurci a riflettere quanto cammino dobbiamo fare ancora per liberarci dalla nostra bestialità, qualsiasi sterminio, anche quelli di secoli passati (ad esempio, quello delle crociate, quello delle guerre tra cattolici e protestanti, quello degli indios dell’America Meridionale o dei pellerossa dell’America Settentrionale ecc.), va bene. Se invece vogliamo capire il meccanismo secondo il quale uno sterminio viene costruito e da possibilità solo pensata diventa realtà praticata, allora la Shoah presenta una sua specificità assoluta. Non a caso, il pedagogista americano Howard Gardner, quando sostiene che nella scuola di base bisogna insegnare poche cose essenziali coerenti con gli assi Vero/Falso, Bene/Male, Bello/Brutto (assi che costituiscono la coscienza umana), sostiene che per l’asse Bene/Male è sufficiente ed essenziale stusiare la Shoah.

La Shoah, infatti, non è una manifestazione violenta occasionale (che può esserci o non esserci). I lager comunisti di Stalin in Russia, nei quali finirono anche molti comunisti, contraddicono il sogno di liberazione e di uguaglianza che il comunismo offriva a masse di uomini e donne, sogno per il quale molti erano disposti a lottare e soffrire: in altre parole, quei lager sono un tradimento delle promesse del comunismo. La Shoah, invece, è l’inevitabile punto d’arrivo di una ideologia che vuole costruire un mondo nuovo fondato sulla supremazia di una razza sulle altre e sull’asservimento delle razze inferiori o sulla loro eliminazione quando con la loro presenza rischino di inquinare la purezza della razza dominante. In altre parole Shoah e nazismo sono inseparabili: non si può credere nel nazismo senza giustificare la Shoah.

Come si costruisce una Shoah: banalità del male

di Luigi Vassallo

  1. Costruire il nemico

Quando c’è una grave crisi economica, che diventa inevitabilmente crisi sociale (e in Germania dopo la prima guerra mondiale la crisi era gravissima e lo stato repubblicano si mostrava incapace di affrontarla per la divisione tra i partiti politici), la parte di popolazione più minacciata dalla miseria (miseria reale o solo immaginata per paura) e la parte di popolazione meno fornita di strumenti culturali per capire (e spesso le due parti coincidono) cercano qualcuno con cui prendersela e qualcuno a cui affidarsi per la propria salvezza. A poco a poco si diventa sensibili a certe propagande, anzi se ne si fa megafono e ripetitore: Abbiamo perso la guerra per colpa dei pacifisti, dei comunisti, degli ebrei. Per risollevarci dobbiano cacciare via dal popolo questi parassiti. Il potere deve essere restituito ai veri tedeschi.

Negli anni Trenta del secolo scorso la propaganda si faceva con comizi, volantinaggi, passaparola nei luoghi di ritrovo, giornali più o meno favorevoli a svolte autoritarie. Oggi il “nemico” si costruisce sui social, con tecniche più sofisticate e con gruppi di lavoro professionisti che vengono pagati da chi vuole lucrare sulle paure e sui pregiudizi di chi è pronto a credere a qualsiasi cosa trovi sui social. In questo modo la cultura dell’odio e della discriminazione tra esseri umani tende a farsi senso comune: Prima i tedeschi. Zecche comuniste. Porci ebrei speculatori. Complottano per sostituirci geneticamente.

Chi si oppone a questa cultura dell’odio viene “bastonato” sui social e a volte anche fisicamente; nel passato veniva “bstonato” nei comizi e spesso fisicamente.

Quando un gruppo che ha favorito o alimentato questa propaganda arriva al potere, allora la propaganda diventa verità incontrastata, perché non c’è più una stampa libera ad arginarla. Così il nemico viene articolato nelle categorie dei comunisti, degli zingari, degli omosessuali, degli asociali, dei malati mentali, dei testimoni di Geova e, soprattutto, degli ebrei. In ogni caso è nemico chiunque, per componente razziale o per disposizione personale, è riternuto incompatibile con la visione nazista del mondo. Queste categorie di “nemici” sono continuamente segnalate all’opinione pubblica come l’ostacolo al riscatto della Germania e alla costruzione dell’Ordine Nuovo che il cittadino tedesco ha la missione di costruire, in quanto espressione della superiore razza ariana, sotto la guida illuminata del Fuhrer, il quale incarna i valori del popolo tedesco. A questo progetto aderisce la stragrande maggioranza del popolo tedesco, un po’ per convinzione, un po’ per desiderio di riscatto nazionale, un po’ per interessi economici (è il caso delle industrie, che nel programma di riarmo bellico vedono un’occasione di profitto), un po’ per abitudine ad obbedire a chi comanda senza discutere, un po’ per paura di essere additato a propria volta come nemico.

  1. Discriminare per legge

Il partito nazista di Adolf Hitler arriva al potere in Germania per vie legali, ottenendo un successo alle elezioni politiche e l’investimento da parte del Parlamento. Nelle elezioni del 1932 Hitler ottenne il 37% dei voti e, avendo la maggioranza relativa in Parlamento, ebbe dal presidete dello Stato, Hindemburg, l’incarico di formare un governo con altri partiti. Nel 1933, a seguito di un incendio appiccato alla sede del Parlamento da comunisti, secondo quanto affermato dai dirigenti nazisti, ma probabilmente organizzato proprio da loro, Hitler convinse il Presidente a firmare il decreto dell’incendio del Reichstag: in base a tale decreto, furono arrestati i dirigenti comunisti prima delle elezioni del 1933 e fu impedito il voto a favore del partito comunista. Anche alcuni dirigenti del partto socialdemocratico, accusati di complicità con i comunisti nell’incendio della sede del Parlamento, furono costretti a rifugiarsi all’estero.

Le elezioni del 1933 si svolsero sotto l’impressione dell’incendio appiccato al Parlamento, impressione che favorì l’avanzata del partito nazista, che però non raggiunse la maggioranza assoluta, nonostante le intimidazioni e le pressioni esercitate sugli elettori e sugli scrutatori al fine di influenzare il risultato. Non avendo, dunque, la maggioranza assoluta in Parlamento, Hitler fu costretto a mantenere la sua coalizione con il Partito Popolare Nazionale Tedesco e si assicurò con intimidazioni il voto del Partito di Centro, necessario per farsi assegnare dal Parlamento i pieni poteri, per la quale assegnazione era necessrio il voto favorevole di due terzi dei parlamentari.

In virtù dei pieni poteri assegnatigli, che gli consentivano di cambiare a suo piacimento la Costituzione, Hiter mise fuori legge il partito comunista, abolì ogni libertà e garanzia costituzionale, soppresse i giornali di opposizione, chiuse le sedi sindacali, reintrodusse la pena di morte per crimini contro lo Stato, sciolse tutti i partiti tranne quello nazionalsocialista.

Il nuovo ordine voluto dai nazisti fu delineato con le leggi di Norimberga del 1935:

Legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco. Questa legge vieta matrimoni o relazioni extraconiugali tra ebrei e non ebrei, prevedendo specifiche sanzioni, ma solo per i maschi e non per le donne. Vieta inoltre agli ebrei di avere al proprio servizio domestiche ariane di età inferiore ai 45 anni. Vieta infine agli ebrei di esporre sui propri edifici bandiere con colori del Reich, probabilmente per evitare che aziende ebree si camuffassero, con quest’accorgimento, da aziende ariane.

Legge sulla cittadinanza del Reich. La legge stabilise che cittadini del Reich sono solo quelli di sangue tedesco, mentre gli altri, essendo solo appartenenti allo Stato, hanno meno diritti dei cittadini veri. La legge non nomina esplicitamente gli ebrei, ma il primo decreto attuativo, pubblicato due mesi dopo l’emanazione della legge, definisce “ebreo” (e, quindi, non di sangue tedeso) chi abbia almeno tre nonni di religione ebraica e definisce “meticcio ebreo” chi ne abbia uno o due.

Quelli che erano classificati come “ebrei” non potevano essere cittadini del Reich e, pertanto, furono esclusi dal diritto di voto e dal pubblico impiego. Con successivi regolamenti si stabilì per gli ebrei:

      • il licenziamento degli ultimi funzionari pubblici rimasti e dei notai;

      • il divieto di esercitare la professione di medico, veterinario, farmacista, dentista, avvocato;

      • l’obbligo di schedatura delle attività artigiane;

      • l’obbligo di iscrizione ad un’Associazione ebrea controllata dalla Gestapo, con conseguente scioglimento di ogni altra organizzazione ebrea;

      • l’esclusone dall’assistenza sanitaria e dalle scuole pubbliche;

      • la perdita della cittadinanza e il sequestro del patrimonio in caso di espatrio;

il sequestro del patrimonio in caso di morte, senza che potesse andare nulla agli eredi;

      • la giurisdizione sugli ebrei attribuita alla Gestapo e sottratta ai tribunali civili.

Legge sulla bandiera del Reich. La bandiera del partito nazista (croce uncinata nera su cerchio bianco su sfondo rosso) diventa bandiera dello Stato tedesco. Così qalsiasi insulto alla bandiera nazista diventa un insulto allo Stato tedesco e qualsiasi manifestazione antinazista diventa una manifestazione antitedesca.

 

  1. Eliminare il nemico

Prima del 1938 ci furono scoppi improvvisi di violenza a danno di categorie inferiori come gli ebrei, ma l’eliminazione del nemico non è la conseguenza di azioni occasionali; si tratta (ed ecco la vera specifcità della Shoah!) di progettazione scientifica della soluzione finale:

  • Costruzione dei lager e dei campi di sterminio nei vari territori occupati dai tedeschi: servono per questo ingegneri, architetti, muratori; quando il campo è pronto ci vuole un comandante, ci vogliono soldati per la sorveglianza, ci vuole un regolamento minuzioso, occorre un ufficio per la registrazione di arrivi, decessi, spese ecc.

  • Rastrellamento dei prigionieri. Deve essere fatto con ordine per prevenire rivolte, magari facendo credere ai deportati che li si trasferisce in un posto dove saranno lasciati in pace; per questo vengono invitati a portare con sé le proprie cose. Il trasporto richiede treni speciali (in cui i prigionieri sono ammassati come animali), talvolta è necessaria la costruzione di appositi collegamenti ferroviari. Servono guardie che facciano salire i deportati sui treni prima di sigillare i vagoni, servono macchinisti che guidino i treni, serve un piano orario per i passaggi tra le varie stazioni.

  • L’arrivo al campo. L’accoglienza dei deportati è organizzata in modo da provocare terrore e perdita di identità: bastonate e aggressioni da parte dei cani ai prigionieri che vengono messi in fila; prima separazione tra chi è in grado di lavorare e chi no; separazione dei nuclei familiari; al campo si parla tedesco, se non capisci gli ordini dei guardiani rischi la morte sul posto; ti marchiano un numero sul braccio, sarà questo da ora il tuo nome; ai deportati vengono sottratti all’arrivo gioielli e denaro, poi, dopo la morte, denti d’oro, capelli… Di tutto questo gli addetti all’ufficio registrazione tengono una scrupolosa contabilità.

  • La vita nel campo. Chi può lavorare vine affittato a industrie tdesche della zona ove lavora in condizioni di schiavitù dal mattino fino al rientro in baracca. Le scrupolose registrazioni ci fanno sapere quanti soldi l’organizzazione del campo percepisce dagli industriali per ogni “pezzo” (così viene definito il deportato!) affittato. La giornata comincia con la lunga cerimonia dell’appello all’aperto, con qualsiasi condizione climatica. La veste del prigioniero è sempre la stessa d’estate e d’inverno: una sorta di pigiama a strisce e zoccoli senza calze. Il cibo è molto scarso, l’igiene pure. Si dorme in baracca su letti a castello insufficienti per tutti: talvolta ci si sveglia scoprendo di aver dormito accanto al cadavere di uno morto di notte. Chi finisce in infermeria diventa cavia per esperimenti medici come inoculazione di batteri, mutilazioni e cose simili: gli esperimenti sono finalizzati prevalentemente a trovare rimedi per i soldati tedeschi feriti in battaglia; per gli esperimenti sono preferiti i gemelli, soprattutto bambini. Chi prova a fuggire viene catturato e punito con l’impiccagione alla quale devono assistere gli altri prigionieri, alcuni dei quali sono costretti a suonare musiche di festa durante l’esecuzione.

  • Le camere a gas. I soggetti inabili al lavoro o agli esperimenti medici, al momento dell’arrivo al campo o quando non sono più in grado di essere affittati come “pezzi” o di essere usati come cavie, vengono mandati a morire. La scientificità della soluzione finale, dopo una prima fase in cui si fa ricorso alla fucilazione di massa sul bordo di una fosse comune destinata ad accogliere i cadaveri alla rinfusa, individua nelle camere a gas il sistema di eliminazione più rapido ed efficace: si inietta del gas attraverso i rubinetti delle docce. Servono tecnici per sintetizzare la giusta dose di gas in una capsula. Servono aziende per la produzione delle capsule di gas.

  • I forni crematori. I morti nelle camere a gas, come i morti per altre ragioni, devono essere eliminati per evitare epidemie. Le fosse comuni non bastano più. L’organizazione progetta dei forni crematori in cui bruciare i cadaveri, dopo che sono stati spogliati di qualsiasi cosa possa ancora valere economicmente. Il trasporto dei cadaveri ai forni è affidato a un’apposita squadra di prigionieri.

  • Progettisti, assistenti, complici. La Shoah è il prodotto collettivo del “lavoro” a vario titolo di progettisti e di esecutori, tutti convinti di contribuire a costruire un Ordine Nuovo o almeno di stare eseguendo il proprio dovere. Complici furono i governanti alleati di Hitler: in Italia nel 1938 Mussolini, con l’avallo del re, decretò leggi razziali contro gli ebrei, colpendo persino ebrei che erano stati tra i fondatori o i sostenitori del partito fascista. Anche in questo caso, prima ci fu una campagna culturale volta a screditare gli ebrei nell’opinione pubblica, poi ci furono leggi che privarono gli ebrei di molti diritti, infine, dopo l’8 detembre 1943, si procedette alla persecuzione della vita degli ebrei, con le SS tedesche a caccia di ebrei, spalleggiate dai mliziani fascisti e dalle strutture della RSI. Ci furono complici occasionali: quelli che per soldi vendettero gli ebrei nascosti o che li tradirono per occupare un loro appartamento.

  1. Di chi è la colpa

Tutto questo ci porta alla questione della colpa, come fu affrontata da Karl Jaspers. Karl Jaspers (nato nel 1883 e morto nel 1969) era uno psichiatra e filosofo tedesco. All’avvento del nazismo manifestò subito idee contrarie al regime e per questo venne allontanato dall’insegnamento universitario. Nel 1937 i nazisti gli imposero di scegliere tra il divorzio dalla moglie ebrea o l’emigrazione forzata. Jaspers rifiutò di divorziare e si ritirò a vivere come un recluso nella sua Heidelberg, dove i nazisti lo tollerarono soddisfatti di averlo ridotto ormai al silenzio.

Alla fine della guerra fu riabilitato all’insegnamento universitario e, come suo primo compito, si dedicò a parlare alla Germania, che stava soffrendo, nelle dure imposizioni dei vincitori, le conseguenze della guerra e degli stermini voluti dai nazisti. Ai tedeschi Jaspers disse che la sopportazione delle sanzioni, anche da parte di chi non aveva appoggiato il nazismo, era l’unica via per la purificazione, senza la quale non avrebbero avuto diritto alla libertà politica e alla pari dignità con gli altri popoli. La purificazione dalla colpa che aveva  macchiato tutti i tedeschi sia quelli che avevano appoggiato Hitler, sia quelli che lo avevano sopportato a malincuore, sia quelli che avevano tentato di osteggiarlo: “Che noi siamo ancora vivi, questa è la nostra colpa”, così concludeva Jaspers.

Per Jaspers riconoscere la colpa (per pentirsene) comporta l’approfondimento di quattro livelli di colpa: dalla colpa criminale alla colpa politica, alla colpa morale, alla colpa metafisica.

  • La colpa criminale è la colpa di chi ha commesso un crimine o di chi vi ha attivamente collaborato. Di questa colpa giudica il tribunale (ad esempio il tribunale di Norimberga contro i criminali nazisti), chiamato ad esaminare fatti oggettivi e a valutarne la responsabilità individuale dei singoli imputati. Di fronte alla colpa criminale il negazionismo imbocca più di una strada: nega il crimine (la Shoah non c’è mai stata; i morti nei campi di concentramento non erano effetto di uno sterminio programmato e voluto ma solo la conseguenza delle condizioni di vita non certo felici nei campi); oppure lo ridimensiona (è esagerato il numero di morti riportato dalle versioni dei vincitori); oppure si fa scudo della giustificazione di “avere solo obbedito agli ordini”. La questione, dopo la Shoah, è se il crimine (un crimine di tali dimensioni) possa essere addebitato solo a chi l’ha progettato e ordinato e a chi lo ha direttamente eseguito o anche a tutti i piccoli funzionari che, limitandosi a svolgere con scrupolo quello che chiamavano il “proprio lavoro”, lo hanno reso possibile: da chi ha rastrellato ebrei, zingari, omosessuali, oppositori politici a chi ha compilato gli elenchi per le deportazioni, a chi ha organizzato i treni per i campi di sterminio, a chi ha guidato quei treni, a chi ha gestito i campi di sterminio e ne ha curato l’efficienza quotidiana.

  • La colpa politica (ovvero la responsabilità politica) significa che si è coinvolti, in quanto cittadini, in tutto quello che il nostro Stato fa; significa che siamo responsabili di quello che il nostro Stato ha fatto se ne abbiamo sostenuto il governo col nostro voto e il nostro consenso (Hitler e Mussolini giungono al potere attraverso le elezioni e hanno inizialmente un consenso diffuso sincero); ma siamo responsabili anche se abbiamo votato contro tale governo e non ne abbiamo condiviso le scelte, perché non siamo riusciti ad aggregare gli elettori su una cultura politica diversa o, comunque, perché – ci piaccia o no – di questo Stato siamo cittadini e, quindi, parte.

  • La colpa morale Questa colpa rientra nella sfera individuale e riguarda quello che io personalmente ho fatto o non ho fatto di fronte ai crimini, alla violenza, alle persecuzioni, alle discriminazioni. Mi sono fatto i fatti miei: per paura? per evitare conseguenze alla mia famiglia? perché ho creduto che gli ordini vadano sempre eseguiti? perché ho pensato che ero troppo piccolo e insignificante per contrastare l’enormità del crimine? Qui solo la mia coscienza può pronunciare la sentenza. Ma può farlo solo se è una coscienza “educata”. Educata, secondo me, a distinguere tra un’etica delle intenzioni e un’etica della responsabilità: un’etica che dice che sono colpevole solo se volevo fare il male e che non ho nessuna colpa se non volevo farlo e un’etica che dice che io sono responsabile delle conseguenze della mia azione anche se non ne avevo intenzione. Per capirci, se mi drogo o mi ubriaco e poi mi metto al volante e ammazzo qualcuno, sono responsabile di questo, anche se non avevo intenzione di uccidere nessuno, perché drogandomi o ubriacandomi ho messo in moto un processo che aveva come punto d’arrivo probabile proprio quell’omicidio. Allo stesso modo, se mi volto da un’altra parte mentre viene compiuta un’aggressione, ne divento responsabile anche se non avevo nessuna intenzione di favorirla ma volevo solo tenermi fuori dai guai.

  • La colpa metafisica può essere percepita solo da chi si sente parte dell’universo umano, da chi sente gli altri esseri umani come membri della propria tribù, da chi sente un’offesa ad un altro essere umano come un’offesa a se stesso. Chi sente l’appartenenza all’unica tribù umana (per dirla con Einstein, all’unica razza umana) non è indifferente a ciò che accade a qualsiasi essere umano. Lo scrittore latino Terenzio (vissuto nel secondo secolo prima di Cristo) scriveva “Sono uomo. Non mi ritengo estraneo a nessuna cosa succeda ad un altro uomo”. Il nazismo, invece, ha cercato di spogliare milioni di uomini dei loro tratti umani, riducendoli a cose o a numeri, e ha cercato di rendere gli altri uomini indifferenti alla sorte di queste cose e di questi numeri. Sulla colpa metafisica non c’è tribunale che possa giudicare, non c’è giudizio politico che si possa pronunciare, non c’è neppure una coscienza individuale alla quale appellarsi. Quando, ancora oggi, sentiamo pronunciare con disinvoltura (spesso da esponenti politici) insulti contro i “diversi” (diversi per lingua, colore della pelle, condizioni economiche e sociali), che vengono etichettati come estranei alla nostra umanità presunta evoluta, quando ci accorgiamo che a queste volgarità razziste molti di noi restano indifferenti o ci fanno l’abitudine, allora ci chiediamo quanto cammino ancora le ex scimmie che in un’epoca remota si alzarono in piedi devono percorrere per diventare umani e membri a pieno titolo della tribù umana.

  1. La banalità del male

Si comicia da un innocente buonsenso: Prima i Tedeschi (oppure Prima gli Ungheresi ma anche Prima gli Italiani e così via) e si finisce, magari senza accorgersene, col diventare un piccolo ingranaggio di un meccanismo messo in moto intenzionalmente da altri, che hanno proprio bisogno di tanti piccoli ingranaggi come noi per realizzare i loro sogni di potere e di dominazione. Possiamo provare a giustificarci con frasi del tipo: Volevo solo un po’ d’ordine, Volevo fare il mio dovere, Volevo sentirmi parte di un disegno importante, Ho solo amato il mio Paese. Sta di fatto che l’orrore in cui sono precipitati i miei buoni e innocenti propositi sta là ad accusarmi di essere stato complice, per quanto senza volerlo, di chi quell’orrore l’ha costruito cosapevolmente, sfruttando le paure e le ingenuità di quelli come me e alimentando fanatismo ed esaltazione negli esecutori del suo piano.

 

 

 

 

 

 

La Shoah dei bambini

di Claudia Carosi

La storia della persecuzione degli Ebrei, attuata dal Fascismo tra il 1938 e il 1945, è nota ormai a tutti noi.

Meno conosciuto è cosa hanno significato quegli anni, ben sette, per molti bambini italiani sia ariani che ebrei: i primi educati al razzismo ed alla guerra, i secondi allontanati dalla scuola, emarginati, deportati.

Il 5 ottobre del 1938 il ministro Bottai emana una circolare secondo la quale i bambini di razza ebraica non sono più ammessi alla frequenza della scuola pubblica.

Qualche giorno dopo, precisamente il 23 settembre, una seconda circolare stabilisce che nelle scuole dove ci sono almeno dieci bambini ebrei si può formare una classe a patto che ci sia un’aula ubicata in modo tale che i bambini ebrei non abbiano alcun contatto con gli altri durante l’ingresso, l’uscita o la ricreazione.

Molti presidi si adopereranno perché classi di questo tipo potessero essere formate cercando di raggiungere il numero minimo richiesto, qualche volta modificando anche la data di nascita di uno o più bambini.

In altre situazioni questo non fu fatto ed i bambini ebrei restarono senza scuola mentre gli ariani persero compagni di classe o addirittura di banco senza che gli insegnanti fossero in grado di dare una spiegazione chiara e sincera.

Antonio, un signore di Genova, mi ha raccontato che a quel tempo aveva otto anni, frequentava la classe terza e che un giorno non si presentò a scuola il suo compagno di banco, siccome quell’assenza si prolungava, chiese informazioni al maestro che fu molto evasivo. Allora pensò bene di andare a cercare il suo compagno presso la farmacia dove lavoravano entrambi i suoi genitori: trovò la farmacia chiusa, anche i genitori erano scomparsi. Antonio si ribellò a questa situazione e, per un pò di tempo, si rifiutò di partecipare alle esercitazioni fasciste del sabato mattina. Mi ha raccontato questa sua presa di posizione con una certa soddisfazione: era contento di non essere stato indifferente a qualcosa di ingiusto che aveva vissuto.

L’indifferenza degli altri invece come dice la Sig.ra Liliana Segre fu qualcosa che a lei, ebrea cacciata dalla scuola, fece molto male.

Come fecero allora i genitori dei bambini ebrei a cercare di garantire, nonostante la situazione che era venuta a determinarsi, l’istruzione dei figli e la loro protezione? Alcuni organizzarono scuole familiari radunando bambini di due o più famiglie, altri allontanarono i figli dalla loro casa e li posero al riparo presso conoscenti fidati o presso Istituti religiosi. Ciò avvenne anche in luoghi a noi vicini: ad Osiglia, piccolo paese dell’entroterra subito al di là dello spartiacque, vi era una scuola elementare e, nello stesso edificio, al secondo piano, l’abitazione della maestra. Nel 1943 l’insegnate di quella scuola era la maestra Rosalda Panigo che aveva due bambini suoi e teneva presso di sé una bambina ebrea figlia del dott. Piana di Savona occultandola abilmente tra tutti i bambini che frequentavano la scuola.

Anche presso l’Ospedale di Santa Corona di Pietra Ligure aveva trovato protezione una bambina ebrea milanese, Sara Dana, affidata alle cure delle suore. Quando la sua famiglia fu presa e deportata, lei, essendo lontana, si era salvata. Accadde poi che Sara acquistasse una cartolina allo spaccio della struttura e, di nascosto, la spedì a casa sua. La cartolina arrivò a destinazione e la portiera avvisò i Tedeschi: fu facile individuare l’ospedale e prelevare la bambina nonostante l’opposizione delle suore. Sara fu inviata nei campi di sterminio dove trovò la morte.

I bambini ebrei italiani deportati furono settecento; di questi ne ritornarono ventisei tra cui Liliana Segre e le sorelle Andra e Tatiana Bucci. Ho scelto di parlare di loro perché dopo tante sofferenze riuscirono a salvarsi e quindi le loro storie furono a “lieto fine”! Dopo sei giorni di viaggio in un carro bestiame si arrivava a destinazione. Subito i componenti le famiglie venivano separati: i maschi da una parte, le mamme e i bambini dall’altra. I bimbi più piccoli, fino ai quattro anni, venivano subito eliminati. gli altri, se gemelli, venivano tenuti in qualche considerazione per essere eventualmente utilizzati nei folli esperimenti di un ufficiale medico nazista. Gli altri più grandi fino ai quattordici anni venivano utilizzati per i lavori forzati.

Liliana Segre all’arrivo vede per l’ultima volta suo padre e, avendo tredici anni, viene avviata subito al lavoro. Le sorelle Bucci vengono scambiate per gemelle, pur non essendolo, vengono lasciate in vita.

Liliana Segre, deportata da Milano il 31 gennaio del 1944, resterà ad Auschwitz fino alla liberazione del campo il 27 gennaio 1945; quando i soldati inglesi, deputati a trascrivere i nomi delle persone liberate, se la trovano davanti pensano che sia una donna sui 45 anni, pesa 32 kg ed ha già qualche capello bianco. Quando la bambina dice di avere 13 anni, non ci credono e, siccome lei insiste, pensano sia matta. Al ritorno troverà una situazione difficile, di silenzio e sofferenza, che la segnerà profondamente.

Le sorelle Bucci saranno separate subito dalla mamma che tuttavia, nei primi tempi, riusciranno a vedere perché i loro blocchi erano vicini, ma poi cominceranno a non riconoscerla più a causa del rapido peggioramento delle condizioni fisiche della donna e, condizionate anche dal fatto che le loro guardiane chiamavano quelle donne “streghe”, non vollero più vederla. Si salvarono dall’essere sottoposte ai crudeli esperimenti “medici” e quando i Russi arrivarono a liberare il campo, si trovavano insieme a tanti altri bambini che i Tedeschi avevano risparmiato perché qualcuno aveva diffuso la voce che in quel blocco c’era il tifo e non vi si erano più avvicinati.

Furono portate in una struttura nella città di Praga per qualche periodo e dopo quei bambini furono distribuiti tra vari Paesi europei. Andra e Tatiana arrivarono così a Langfield in Inghilterra aiutate dai volontari del Comitato Rifugiati Ebrei insieme ad altri ventidue bambini. Il Comitato, attraverso la stampa, chiese aiuto per questi bambini che avevano urgente bisogno di ospitalità, cibo, vestiario: rispose all’appello un ricco signore ebreo che si offrì di ospitare tutti i bambini in una grande villa di sua proprietà. I bambini poterono così finalmente godere di ampi e confortevoli spazi, di camere calde, di un grande giardino dove giocare, di cibo e degli abiti necessari. Le assistenti registrarono i comportamenti dei bimbi in quel periodo:

essi, invece che mangiare a mensa, preferivano riempirsi le tasche di tutto il cibo possibile, per timore di non trovarne ancora;

non volevano restituire il cucchiaio dopo il pasto, perché nei lager non avere il cucchiaio significava non avere la zuppa;

non volevano mai allontanarsi dalla casa che li ospitava perché, nella loro precedente esperienza, avevano osservato che chi partiva, di norma, non faceva più ritorno.

La stessa cosa accadde quando le assistenti organizzarono una gita a Londra: e dovettero fare un’enorme fatica per convincere i bambini a salire sull’autobus.

L’anno seguente, il 1946, per interessamento della Croce Rossa Internazionale da una parte e le ricerche dei genitori dall’altra, avviene un contatto tra le bambine e i loro genitori: la mamma ricordava il numero tatuato sul braccio delle figlie e queste riconobbero i genitori in una foto del loro matrimonio che la mamma inviò in Inghilterra. Questa foto era familiare alle bambine perché la loro mamma la mostrava loro tutte le sere quando parlava del loro papà lontano: le bimbe riconobbero subito i loro genitori e fu così possibile il ricongiungimento nel dicembre 1946. Ma i problemi non erano certo finiti, Andra e Tatiana parlavano solo ceko e tedesco, non riconobbero né la mamma né il papà: avevano dimenticato tutto il loro vissuto prima della deportazione.

L’inserimento fu durissimo per tutti, ogni bambino si portava dentro sofferenze indicibili, impossibili da dimenticare!

Il prof. Bruno Maida, ricercatore di storia contemporanea, sostiene che non si è mai “ex deportati” e questo è condiviso anche da Liliana Segre che, ancora in questi giorni, ospite di un programma televisivo ha sostenuto che “quella bambina di tredici anni” se la porta sempre dentro anche a distanza di settantacinque anni.

Quelli che furono giusti, contro l’orrore

di Stefania Bonora

 

Ci sembra incredibile che anche in Italia, migliaia di persone “normali” con famiglia, figli, amicizie, si siano trasformati in crudeli e sadici aguzzini (anche noi avevamo i campi di concentramento) e che in molti fecero la spia “vendendo” la vita di molti compatrioti ebrei o nemici del regime.

Ma possibile che tutti, proprio tutti, fossero diventati feroci carnefici o passivi spettatori indifferenti a queste ingiustizie? Sicuramente il clima di terrore e di violenza dei regimi totalitari scoraggiava qualsiasi presa di posizione contraria. Molti si indignarono per l’approvazione delle leggi razziali del ’38, ma non fecero nulla mentre alcuni andarono con coraggio contro la corrente, contro le leggi, rischiando la propria vita, talvolta perdendola.

In mezzo all’inferno della Shoah, fa bene conoscere la storia di queste persone. Chi erano? Angeli, eroi, persone con superpoteri? Erano anch’esse persone normali, non necessariamente “buone”, ma che agirono per il Bene, secondo giustizia.

Sono i GIUSTI tra le nazioni

 

A Gerusalemme c’è un centro, lo Yad Vashem costruito negli anni ’60, che, oltre a fare memoria della Shoah, ospita un giardino enorme recante il ricordo di ogni uomo GIUSTO che abbia salvato la vita anche ad un solo ebreo. Inizialmente veniva piantato un albero per ognuno di loro, poi man mano che si aggiungevano segnalazioni di salvataggi (ne avvengono tuttora) si è deciso di apporre in questo sito la sola targa dorata con il nominativo. Un’apposita commissione ha riconosciuto ad oggi circa 27.000 GIUSTI TRA LE NAZIONI, tra i quali vi sono più di 680 italiani. C’è anche un monumento al soccorritore ignoto, poiché molti di essi sono rimasti nell’anonimato.

Irena Sendler e Oskar SCHINDLER sono forse gli stranieri più conosciuti, anche per il numero di ebrei che riuscirono a salvare: la prima era un’infermiera polacca che nascose circa 2.500 bambini portandoli in salvo dal ghetto di Varsavia. Continuò a rammaricarsi di averne salvati troppo pochi. Il secondo era un imprenditore tedesco, iscritto al partito nazista il quale, tramite la sua fabbrica in Polonia e grazie alle sue conoscenze altolocate, salvò 1200/1300 ebrei, dopo aver visto i trattamenti disumani nei loro riguardi; la sua storia è raccontata in un grande film di Steven Spielberg “Schindler’s list”.

GINO BARTALI, il campione di ciclismo che trasportò documenti nel manubrio e nella sella della sua bicicletta e nascose una famiglia ebrea in una sua cantina fino all’ arrivo degli alleati. Non volle mai vantarsi di queste sue azioni, disse che “certe medaglie, vanno apposte sul cuore, non in vista”.

CARLO ANGELA, padre di Piero Angela, noto personaggio della tv, era medico in una clinica a San Maurizio Canavese: vi nascose numerosi ebrei e antifascisti facendoli passare per malati e per mezzo secolo non si seppe nulla di queste gesta.

DON ARRIGO BECCARI, sacerdote, e il dott. GIUSEPPE MOREALI nascosero un centinaio di bambini a VILLA Emma a NONANTOLA (Modena) ove tutto il paese collaborò a questo salvataggio.

Non mancano riconoscenze a religiosi, come il frate di Assisi RUFINO NICCACCI che sfruttò i numerosi conventi di Assisi e dintorni per nascondere centinaia di ebrei con l’appoggio del vescovo Giuseppe Placido Nicolini. In una lettera del ’45 alla nipote il frate scrisse:

«Avrai saputo dei miei arresti, della mia condanna alla deportazione, ma poi nulla!!! Dio mi ha protetto. E poi sono seguite insidie, ricatti, intimidazioni e simili complimenti. Ancora non è tutto finito. Ancora sono in campo di battaglia, ieri con i perseguitati, oggi con gli sventurati… Così mi piace la vita. Non la so concepire senza battaglia. Ho lottato, lotto e lotterò ancora perché mi pare sia diritto di ognuno di difendere gli oppressi e soprattutto per tenere alti i nostri ideali di civiltà, di religione, di patria».

Da queste vicende è tratto il film “Assisi underground” dell’85, di Alexander Ramati, ebreo americano che fu soldato nelle truppe di liberazione di Assisi, quindi testimone oculare. Finita la guerra, frate Rufino si adoperò per il dialogo interreligioso.

ELIA DALLA COSTA cardinale, arcivescovo di Firenze, nascose in una città occupata dai nazisti più di 300 ebrei.

Il cardinale di Roma PIETRO PALAZZINI aiutato da don VINCENZO FAGIOLO salvò molti ebrei dal ghetto.

ODOARDO FOCHERINI assicuratore cattolico di Carpi (Modena) insieme a don DANTE SALA mise addirittura in piedi un’organizzazione di salvataggio ebrei, producendo loro documenti falsi mentre il sacerdote li accompagnava al confine. Focherini fu scoperto e deportato nel campo a Hersbruck dove morì.

ANDREA SCHIVO, guardia carceraria, nato a Villanova d’Albenga, lavorò ad Imperia, poi divenne secondino a S. Vittore nel “braccio” gestito direttamente dalle SS che internava detenuti ebrei, un vero campo di concentramento: si adoperò a fare il possibile per alleviare le condizioni dei detenuti, mettendoli in contatto con le famiglie, spesso portando loro cibo e acqua aggiuntivi. Scoperto, fu imprigionato nel lager di Bolzano. Morì a Flossenburg due giorni dopo la liberazione di Auschwitz.

LA DANIMARCA. E’ l’unica intera nazione ad avere un riconoscimento di “giusta”. Subì l’occupazione nazista, con vincoli commerciali. Il suo re Cristiano X e il parlamento dichiararono anticostituzionale la propaganda antisemita che prevedeva l’identificazione di ogni ebreo con la stella di David. Quando alla Danimarca i comandanti tedeschi imposero i rastrellamenti, più di 40 associazioni, molti pescatori, la guardia costiera, centinaia di poliziotti si mobilitarono per avvisare, trasportare, addirittura finanziare la fuga via mare degli ebrei nella neutrale Svezia. Su 7000 ebrei danesi, ne furono rastrellati solo 300 che ingenuamente vollero restare: quasi tutti furono rilasciati su pressione del governo danese.

GIORGIO PERLASCA, commerciante padovano, approfittando di un posto vacante al consolato in Ungheria, si finse ambasciatore spagnolo. Era stato un fascista entusiasta, sostenitore dell’impresa di Fiume e del regime franchista in Spagna, fino a quando l’Italia si alleò con la Germania e impose le leggi razziali. Solamente negli anni 80 del secolo scorso si seppe del suo salvataggio di più di 5 mila ebrei ungheresi. La sua storia è raccontata da Enrico Deaglio nel suo libro “La banalità del bene” dal quale è tratto il film di Negrin “Perlasca – un eroe italiano” con Luca Zingaretti.

Nella mia ricerca per preparare questo intervento, sono venuta a conoscenza di numerose, bellissime storie di giustizia: il mio invito ai lettori è quello di approfondirle e scoprirle per incontrare un’umanità che risplende contrapponendosi alla barbarie.

Restano a mio parere due domande interessanti: trovandoci a quei tempi nella situazione di dover scegliere, cosa avremmo fatto noi? Quale riflessione può servire a noi tutti, oggi, facendo memoria della Shoah affinché queste tragedie non si ripresentino più?

Nella descrizione che Hannah Arendt fece sulla tipologia dell’aguzzino nazista, emerge l’INCAPACITA’ DI PENSARE E GIUDICARE AUTONOMAMENTE, DI PERCEPIRE LA REALTA’ NELLA SUA COMPLESSITA’. Mancanza di EMPATIA, di IMMAGINAZIONE e, soprattutto, di esercitare un dialogo silenzioso con se stessi, che non è altro che il PENSIERO.

Un antidoto al male è quindi coltivare il pensiero, perché gli si contrappone. Citando la Arendt: “Il male non è mai RADICALE non ha radici è soltanto ESTREMO. Non possiede profondità né dimensione demoniaca. Può invadere e devastare il mondo intero perché si espande sulla superficie come un fungo. Il pensiero cerca di trovare le radici del male ma è frustrato perché non trova nulla. Solo il bene è profondo e può essere radicale”, le sue radici sono nel cuore dell’uomo, nella sua essenza.

Allora se l’antidoto al male è il pensiero, coltiviamolo, produciamolo. Con lo studio, l’approfondimento, mantenendo vivo l’interesse, il dialogo, il confronto aperto, la capacità critica; perché come diceva Voltaire qualche secolo fa, “COLORO CHE RIESCONO A FARVI CREDERE DELLE ASSURDITA’, POSSONO FARVI COMMETTERE DELLE ATROCITA’”.

 

 PRESUPPOSTI  DI CARATTERE GIURIDICO E MORALE

DEL PROCESSO DI NORIMBERGA

di Vittorio Frascherelli

L’argomento ci conduce fatalmente a esplorare territori assai più vasti e a considerare questioni che superano di gran lunga l’importanza pure emblematica di questo evento. Quindi, solo brevi cenni di carattere storico sui punti salienti del processo (1).

Fu istituito un Tribunale internazionale. Il processo principale iniziò il 20 novembre 1945 e durò fino al 1° ottobre 1946. Oltre ai 24 acusati (le massime autorità del potere nazista), avrebbero dovuto essere processati anche Adolf Hitler, cancelliere della Germania e principale responsabile di tutti i crimini, Heinrich Himmler, capo delle SS e della polizia e Joseph Goebbels, il capo straordinariamente efficiente della propaganda nazista, ma questi tre si erano suicidati già una settimana prima della fine della guerra. Altri capi nazisti erano riusciti a fuggire (2).

Gli imputati tutti si proclamarono innocenti affermando di aver tenuto le condotte, per le quali erano stati incriminati, in obbedienza agli ordini dell’autorità costituita. Ma l’argomento fu respinto come privo di fondamento dal Tribunale perché tali condotte furono giudicate in contrasto con principi ritenuti insiti nelle norme di diritto internazionale sancite nelle Convenzioni dell’Aia e in altre, anche se non universalmente ratificate (3). Le prove furono fornite da innumerevoli filmati provenienti dagli stessi archivi nazisti. L’impatto umano di prove visibilmente tangibili fu un punto di svolta per l’intero processo perché portò nell’aula le atrocità di massa. Perciò, anche indipendentemente dalla sua conclusione, il processo aveva, per ciò stesso, offerto un servizio pubblico senza precedenti alla documentazione della Shoah e costituito un antidoto efficacissimo contro il futuro negazionismo. Al termine del processo furono emesse 12 condanne a morte, 3 ergastoli, 4 condanne a 10, 15 o 20 anni di carcere e 3 assoluzioni.

Si scelse di fare il processo nella città di Norimberga, sia perché pare che fosse l’unica ad aver conservato un edificio giudiziario non distrutto, sia e soprattutto per una sorta di nemesi storica: Norimberga era stata il centro delle oceaniche adunate naziste destinate a celebrare le magnifiche sorti del terzo Reich (millenario nei propositi di Hitler e dei suoi complici, ma in realtà della durata di soli dodici, pur lunghissimi, anni).

Dei capi di accusa contro gli incriminati a noi interessa soltanto il quarto, concernente i crimini contro l’umanità, costituiti in modo particolare dal programmato genocidio degli ebrei, genocidio nel senso di un loro sterminio totale, tenacemente voluto e perseguito nei minimi dettagli dai nazisti, (ma anche di altre categorie di persone: oppositori politici, omosessuali, Rom…).

Non rientrano nei crimini contro l’umanità, e quindi sono fuori dalla nostra odierna considerazione gli effetti pure agghiaccianti in termini di morti (55 milioni) e feriti (35 milioni) della guerra, terminata nel maggio del 1945 con la sconfitta delle armate di Hitler. Gli effetti di tutte le guerre nella storia sono sempre stati devastanti per coloro che le hanno vissute e subite, ma la Shoah, termine ebraico col quale viene indicato l’olocausto di quel popolo, è una mostruosità storica che potremmo definire un “unicum”, non perch non ci siano stati altri genocidi (4), prima e dopo, ma perché esso fu consumato con programmazione di tipo industriale, con l’impiego non solo di gruppi armati (le SS, ma non solo), per i rastrellamenti, ma ponendo mano a risorse di carattere finanziario ed economico, concernenti spostamenti, trasporti e sistema logistico necessarie per la soluzione finale di quello che per Hitler e i nazisti era “il problema ebraico”(5).

I precedenti oratori vi hanno descritto l’immensità del male perpetrato. Non ci sono aggettivi in grado di qualificare in negativo e in modo adeguato quel che accadde con la Shoah. La rievocazione storica è fondamentale ma – per fare il possibile perché ciò più non accada – è indispensabile accompagnarla con la considerazione degli sessi fatti dal punto di vista del diritto, cioè di quel sistema di norme, di regole, che disciplina i comportamenti umani secondo i concetti di giustizia e di legge, questi ultimi non sempre in accordo tra loro.

La ragione di questa indispensabilità in chiare e poche parole risiede nella considerazione che tutte le azioni e i fatti delittuosi che vi sono stati narrati non sono avvenuti in contrasto con le leggi di uno Stato (parlo dello Stato nazista fin dal suo nascere e anche dello Stato fascista a partire dalle leggi razziali del 1938), ma in obbedienza alle leggi di questi Stati e pertanto in obbdienza a leggi criminali per se stesse e criminogene, in quanto fomento di ulteriori crimini.

Per esaminare come tutto ciò sia stato possibile, senza essere in contrasto con il diritto vigente in quegli Stati, debbo necessariamente introdurvi con ogni accorto chiarimento nella considerazione di problemi che sono propri della filosofia del diritto, nelle sue vicende storiche. Cosa è la filosofia del diritto?

Nel diritto sono insiti i concetti di giustizia (il suum cuique tribuere (6) che, nel suo nucleo fondante, è uguaglianza di trattamento) e di legge, nel senso ampio di comando proveniente da una pubblica autorità e rivolto a tutti i componenti di un popolo o di una comunità più ristretta. Se questo è il diritto, la filosofia del diritto è la disciplina che ne indaga l’esperienza nel suo divenire storico, che riflette sul fondamento del diritto e dell’idea di giustizia, sul loro perché, sulla natura della legge, sui rapporti del diritto con la morale e la politica, l’economia e la società ecc.

Si contrappongono nella filosofia del diritto, supersemplificando, due grandi correnti di pensiero:: il giusnaturalismo (che vede il diritto come già dato nelle linee di un ordine naturale universale, prevalentemente di ispirazione teologica, al quale la volontà umana deve conformasrsi) e il positivismo giuridico (termine con il quale si intende un ampio e assai diversificato complesso di dottrine filosofiche e giuridiche, le quali sottolineano la natura “positiva” del diritto, ossia il suo essere “positum”, cioè posto da un’autorità legislatrice umana o, comunque, a opera esclusiva dell’uomo.

È con l’Illuminismo, con il secolo dei lumi, che il positivismo giuridico prese decisamente il sopravvento nel campo della filosofia del diritto. Con il termine Illuminismo si indica quell’età della storia d’Europa, che voi avete certamente incontrato nel corso dei programmi di Storia, età compresa tra la conclusione delle guerre di religione del XVII secolo (la guerra dei trent’anni, tra le più spaventose mai combattute) e la Rivoluzione francese del 1789, con la connessa evoluzione delle idee in fatto di religione, scienza, filosofia, politica ecc.

La metafora della luce, contenuta nel termine Illuminismo (francese Age des lumières; inglese Enlightenment; tedesco Aufklaerung) è storicamente connessa con i processi di secolarizzazione e laicizzazione e quindi di progresiva autonomia delle istituzioni politico-sociali e della vita culturale dal controllo e dall’influenza della religione e della Chiesa, che erano stati fortissimi in tutto il periodo precedente, con il conseguente mutamento delle idee di provvidenza e di progresso che presero a essere intese come attività storica esclusivmente di carattere umano.

Ebbene uno dei frutti dell’Illuminismo e dell’affrancamento dell’idea di giusitiza e di diritto da postulati di carattere teologico è stata l’affermazione del positivismo giuridico, corrente dottrinaria tutta tesa a proclamare la perfetta equiparazione della giustizia e del dititto con la legge positiva, cioè posita, posta dall’autorità temporale dello Stato, secondo il nuovo dogma “La Legge è Legge!”, quale che sia, che avrebbe avuto perfidi effetti nel secolo ventesimo, nella legislazione degli Stati totalitari.

Chiarisco subito che oggetto di censura, nel corso di questa sommarissima e necessariamente incompleta disamina, non è oviamente l’Illuminismo né il positivismo giuridico nel suo complesso – che diede origine a grandi eventi quali la Costituzione degli Stati Uniti d’America del 1787 con la proclamazione del diritto di ogni individuo alla ricerca della felicità (7) e alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo della Francia rivoluzionaria del 1789 (8) –, ma soltanto quella corrente positivista che identifica la giustizia con la legalità, negando considerazione a ogni ideale di giustizia che ne sia estraneo. Giungendo ad affermare la più completa e netta separazione tra diritto e morale. La dottrina pura del diritto (Reine Rechtslehre 1934 – Kelsen) si proclama, fin dall’inizio, come una teoria del diritto positivo, animata dallo scopo di “liberare il diritto da quel legame per cui è stato sempre unito alla morale”.

Ebbene, terminata la seconda guerra mondiale con la sconfitta delle armate di Hitler, apparve in tutta la sua spaventosa e incredibile gravità quel che era avvenuto nei campi di concentramento di Bergen-Belsen, Dachau, Buchenwald, Mauthausen, Treblinka e Auschwitz-Birkenau, in forza di uno sterminio pianificato dalle leggi dello Stato nazista. Ma non furono soltanto questi i campi di concentramento, perché furono decine e decine i campi disseminati in tutta Europa, tasselli di un sistema pianificato nei minimi dettagli, nei quali giungevano ogni giorno convogli carichi di persone da destinare alle camere a gas e ai forni crematori (9).

Ebbene, fu a questo punto che la totale separazione tra diritto e morale (intesa come atto fondamentale di scelta tra il bene e il male, tra il giusto e l’ingiusto, ritenuta presente in ogni uomo o comunità di uomini) apparve in tutta la sua insopportabile gravità: essa apparve come il punto critico, nodale del concetto di positivismo giuridico; e su di esso si concentrarono dubbi teorici e attenzioni critiche degli studiosi, scaturiti dalla riflessione in ordine alla copertura legale di cui i crimini dei regimi totalitari avevano potuto usufruire.

Un alto numero di giuristi e filosofi del diritto cedettero quindi al richiamo di un ritorno giusnaturalistico cioè al diritto naturale, asserendo, come nella famosa “formula” del filosofo Gustav Radbruch, principale esponente della corrente neokantiana, che la legge dovrebbe perdere o, meglio, non acquisire mai validità giuridica qualora fosse “intollerabilmente ingiusta”.

Nel conflitto tra idea di giustizia e diritto emanato dall’autorità statuale scaturisce nella posizione di Gustav Radbruch, filosofo del diritto tra i più grandi del XX secolo, la rivolta contro il positivismo giuridico, alla cui formula (“la legge è legge”, quale che sia) egli attribuisce la mancata possibilità di difesa della scienza giuridica e dell’amministrazione tedesca (e non solo tedesca) contro errori e arbitri elevati in forma di legge dai detentori del potere. Così, dopo oltre un secolo di positivismo trionfante, era potentemente rinata l’idea e l’esigenza di un diritto (sia esso di natura o di Dio o della religione) al di sopra della legge e di fronte al quale le leggi positive si potessero rappresentare come torto legale.

Ma potrebbe reggersi una società, nei suoi fondamenti, sulla base di leggi non scritte? Ovviamente no, nessuno lo sostiene. La legge non può che essere posita, cioè promanante da un’autorità costituita.

Si è dunque dapprima affacciata una versione equilibrata del positivismo giuridico, perché sensibile alla problematica etica, anche se ferma nel ribadire la separazione tra diritto e morale. Nella sua opera The concept of law (1961; traduzione italiana “Il concetto di diritto”) il filosofo del diritto Hart (viene spesso citato col solo cognome avendo ben tre nomi: Herbert, Lionel, Adolphus) ammette che norme giuridiche e morali possano avere come contenuto comune quei principi di condotta evidenti al fine della sopravvivenza e della pacifica convivenza umana : contenuto minimo di diritto naturale (10).

La tragedia della Shoah – documentata in tutta la sua spaventosa emblematica gravità dalle prove raccolte nel processo di Norimberga – detrminò dunque una forte corrente filosofica a prendere posizione critica nei confronti del positivismo giuridico. Ciò portò tra l’altro alla formazione di un nuovo indirizzo di filosofia del diritto, chiamato neocostituzionalismo, fortemente ancorato alla relazione esistente tra il diritto e la morale, in virtù del ruolo fondamentale che nelle nuove Costituzioni assumono principi e valori etico-morali divenuti costituzionali nell’ambito degli ordinamenti giuridici del tempo presente. Secondo questo filonedi pensiero (11), il diritto costituzionale ha finito per essere quasi un diritto naturale con una veste nuova, appunto positiva.

È quel che s può riscontrare ad esempio nel testo della nostra Carta costituzionale: in essa, all’art.2, la nostra Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni socali ove si svolge la sua personalità. RICONOSCE, non stabilisce; riconosce come entità preesistenti per poi aggiungere “richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Diritti e doveri, entrambi dati come preesistenti alla stessa normazione costituzionale..

Ma i padri costituenti nel formulare il testo della nostra Costituzione – consapevoli della triste fine dello Statuto Albertino che aveva potuto essere spazzato via dal legislatore fascista senza che fosse stata possibile una opposizione giuridicamente valida – si sono preoccupati anche di garantire effettività e durata ai principi in essa proclamati, prevedendo un procedimento quanto mai complesso per la modifica dele norme costituzionali, in modo da escludere che la modifica della Costituzione possa essere decisa con colpo di mano di una singola forza o movimento o partito politico a detrimento delle altre e dell’intera società (12). Sono condizioni che la frammentazione politica ha reso finora assai difficili da realizzare. I padri costituenti hanno previsto un organo, la Corte Costituzionale, con il compito di giudicare sulla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, che – se dichiarati dalla Corte illegittimi – cessano di avere efficacia il giorno successivo alla pubblicazione della decisione.

È interessante rilevare che per la nomina dei giudici della Corte Costituzionale sono previste – a partire dalla terza votazione – maggioranze ancor più severe di quelle previste per la nomina dello stesso Presidente della Repubblica: infatti, metre nelle prime due votazioni è prevista in entrambi i casi la maggioranza di due terzi dei componenti delle due Camere in seduta comune, con la terza votazione, mentre per la nomina del Presidente è sufficiente la maggioranza assoluta (51%), per la nomina dei giudici costituzionali è prevista la maggioranzaa di tre quinti dei componenti il Parlamento, cioè del 60% (13).

I padri costituenti avevano vissuto, sulla loro pelle, l’esperienza lacerante della fragilità della democrazia e della facilità irrimediabile con la quale la credulità popolare aveva potuto essere manipolata e, pure all’interno delle loro legittime divisioni, furono persuasi della necessità di creare nel nuovo stato democratico e repubblicano, che stava nascendo sulle ceneri della seconda guerra mondiale, un sistema giuridico a presidio dei diritti dell’uomo, riconosciuti come fondamentali e preesistenti alla stessa normazione costituzionale.

NOTE

  1. Oltre a questo processo contro i principali responsabili del nazismo ci sono stati altri 12 processi con complessivamente 185 accusati: medici e giuristi, membri della polizia e delle SS, capi industriali, ministri e alti funzionari dello stato nazista. In reealtà era previsto anche un processo separato contro Benito Mussolini ma, come disse Winston Churchill nelle sue memorie, l’uccisione di Mussolini ci risparmiò una Norimberga italiana. Negli altri 12 processi le sentenze furono: 24 condanne a morte, 20 ergastoli, 98 condanne da 18 mesi a 25 ani di carcere, 35 assoluzioni.

  2. Nella lista degli accusati dovevano esserci anche Adolf Eichmann e Joseph Mengele, due dei massimi responsabili del genocidio ebraico, ma entrambi erano riusciti a fuggire in Sudamerica.

  3. Convenzioni dell’Aia del 1899 e del 1907; Patto di Parigi Briand – Kellog del 1928.

  4. Allo scoppio dela prima guerra mondiale, l’impero turco perpetrò un altro genocidio, quello degli Armeni. La comunità non se ne occupò. Viene attribuita a Hitler l’osservazione che i genocidi, una volta fatti, non interessano più nessuno: egli citava espressamente quel che era accaduto col genocidio armeno.

  5. Die endgultige Lesumg des Juden Probles”: Hitler, Mein Kampf.

  6. La formula è di universale accoglimento: ma essa è meramente formale e ciò spiega l’universalità dell’accordo, affiorando la controversia non appena si tratta di stabilire cosa sia il suum di ciascuno e chi sia il qualcuno. V. Chaim Perelman, La Justice, Giappichelli 1959.

  7. Tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità; allo scopo di garantire questi diritti, sono creati fra gli uomini i Governi, i quali derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; ogni qual volta una qualsiasi forma di Governo tende a negare tali fini, è Diritto del Popolo modificarlo o dustruggerlo, e creare un nuovo governo, che ponga le sue fondamenta su tali principi e organizzi i suoi poteri nella forma che al popolo sembri più probabile possa apportare Sicureza e Felciità.

  8. Les représentants du peuple francais, constitués en Assemblée nationale, considérant+ que l’ignorance, l’oubli ou le mépris des droits de l’homme sont les seules causes des malheurs publics et de la corruption des gouvernements, ont résolu d’exposer, dans une déclaration solennelle, les drois naturels, inaliénables et sacrés de l’homme, afin que cette déclaration, constamment présente à tous le membres du corp social, leur rappelle sans cesse leurs droits et leurs devoirs; afin que les actes du pouvoir légilastif, et ceux du pouvoir exécutif, pouvant etre à chaque instant comparés avec le but de toute insiitution politique, en soient plus respectés; afin que le réclamations des citoyens, fondées désormais sur des principes simples et incontestables, tournent toujours au maintien de la Constitution et au bonheur de tous. En consèquence, l’Assemblée nationale reconnait et déclare, en présence et sous les auspices de l’Etre supreme, les droits suivants de l’homme et du citoyen.

  9. Nel migliore dei casi, a lavori forzati. Dopo la selzione iniziale, che “salvava” temporaneamente coloro che erano in grado di lavorare, una parte veniva inviata direttamente verso la meta cui tutti i deportati erano infine destinati: la camera a gas. I campi di sterminio erano anche luoghi di torture, di esperimenti pseudoscientifici su cavie umane (come quelli effettuati sui gemelli da J. Mengele), di lavori sfiancanti e selezioni quotidane: di tali atrocità è rimasta testimonianza nelle memorie di coloro che riuscirono a sopravvivere. Vittime dello sterminio, oltre agli Ebrei, furono anche zingari, omosessuali, testimoni di Geova, oppositori politici. In Italia il regime fascista aveva emanato nel 1938 le leggi razziali, che, tra l’altro, escludevano gli Ebrei dalle scuole, da molte professioni, dalla vita sociale. La deportazione e lo sterminio iniziarono dopo il settembre 1943 quando, in seguito al crollo del regime fascista e all’armistizio, i Tedeschi occuparono l’Italia settentrionale. Le autorità della Repubblica Sociale Italiana collaborarono alla deportazione. Uno dei primi episodi fu il rastrellamento del ghetto di Roma il 16 ottobre 1943, nel corso del quale furono catturate oltre 1000 persone. Il campo di Fossoli, in provincia di Modena, divenne il luogo di transito verso i campi dell’Europa orientale, in cui trovarono la morte 8000 Ebrei italiani.

  10. Ma riporta senza esitazione la giuridicità delle regole non al loro contenuto ma alle modalità con le quali sono state elaborate e adottate, ovvero al fatto che tali regole facciano parte di un ordinamento giuridico (abbiano superato le prove stabilite da una “norma di riconoscimento” per far parte dell’ordinamento giuridco).

  11. Il filone di pensiero trae origine dalla riflessione di Dworkin ed annovera diversi esponenti tra i quali Alexy, Santiago Nino, Habermas.

  12. I padri costituenti hanno fatto tesoro di questa esperienza e quindi – nell’approvare il testo della Costituzione con il quale hanno ripristinato, potenziandole ed estendendole, le forme di libertà in parte contemplate dallo Statuto Albertino – hanno previsto un procedimento quanto mai complesso per le modifiche delle norme della Costituzione – come potrete controllare leggendo l’art.138 del testo. Esso stabilisce che le leggi di revisione della Costituzione sono adottate da ciascuna Camera (cioè dalla Camera dei Deputati e dal Senato) con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi l’una dall’altra e sono approvate soltanto se in ciascuna votazione viene raggiunta la maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera. Ma la legge di modifica della Costituzione è approvata definitivamente soltanto se, nella seconda votazione, essa ha ottenuto la maggioranza di due terzi dei voti dei componenti dell’Assemblea. Altrimenti deve essere sottoposta a referendum popolare se a richiederlo è una minoranza anche esigua dei membri di una delle Camere o cinque Consigli Regionali o 500 mila elettori. Il Popolo può respingere la legge di modifica, come è già accaduto in due occasioni.

  13. Art.3 Legge costituzionale 22 novembre 1967, n.2